Kristin Neff è una psicologa e ricercatrice pioniera nel campo della self-compassion, che è un concetto chiave nella sua opera. La self-compassion, o auto-compassione, è un approccio basato sulla gentilezza, sulla comprensione e sulla consapevolezza di sé nei momenti di difficoltà o sofferenza. Ecco alcuni punti chiave del concetto di self-compassion secondo Kristin Neff.
Ci piacciamo? Non sempre.
C’è qualcuno migliore di noi? Sempre.
Nella nostra società essere all’altezza sembra rimanere un traguardo irraggiungibile.
Allora mettiamo in atto il confronto verso il basso, sforzandoci di vedere gli altri in una luce negativa per poterci sentire superiori e quando non riusciamo a farlo ci attacchiamo severamente.
Si manifestano allora insicurezza, ansia, depressione causate da uno spietato e severo auto-giudizio negativo teso anche ad anticipare la critica altrui. Purtroppo pensiamo di migliorare e accrescere la nostra motivazione continuando a criticarci e confrontarci e sentendoci in colpa per i nostri fallimenti.
Come potremmo agire diversamente? Secondo Kristin Neff smettendo di giudicarci e confrontarci e accettandoci per quello che siamo con gentilezza, cura e compassione come faremmo con un amico, in poche parole provando compassione per i nostri limiti e fragilità.
Prima di poter praticare la compassione verso noi stessi è fondamentale riconoscere l’origine della sofferenza, riconoscere cioè che il dolore esiste, spesso ignoriamo la nostra sofferenza focalizzandoci sulla soluzione del problema.
L’autocritica sembra essere onnipresente e può svilupparsi nel corso delle interazioni familiari con genitori critici e punitivi e in una società individualista in cui è vitale il successo personale. La persona autocritica tende a pensare che anche gli altri la giudichino severamente.
Non dobbiamo però iniziare a criticarci per per il fatto di essere autocritici, possiamo considerare questo comportamento come una forma poco funzionale di prendersi cura di sé. Per superare la tendenza all’autocritica è necessario in qualche modo capire come funziona, riconoscerla quando si attiva, averne compassione e lentamente sostituirla con un comportamento più gentile mentre nel frattempo possiamo sentire di condividere con gli altri esseri umani fragilità, insicurezza e imperfezione sentendoci maggiormente connessi agli altri piuttosto che sentirci isolati e alienati dal resto del mondo.
Quando commettiamo un errore è probabile che subito dopo ci autoaccusiamo e autocritichiamo duramente mentre l’idea di confortare noi stessi ci sembra assurda.
Si tratta invece di comprendere i nostri fallimenti invece di condannarli, considerarli un feedback che il mondo ci da in base al quale possiamo modificare il nostro comportamento per avvicinarci maggiormente al nostro obiettivo.
Di fronte a un errore e un fallimento possiamo iniziare a porci con gentilezza chiedendoci in che modo possiamo confortarci. Se ci diamo in modo continuativo affetto e comprensione probabilmente inizieremo a sentirci di meritare cura e accettazione. Impareremo lentamente ad accettarci per quello che siamo nella totalità del nostro essere. A volte più che di uno sfogo di rabbia contro noi stessi abbiamo bisogno di amore e comprensione secondo la Neff. Rosembreg sottolinea l’importanza di usare un linguaggio comprensivo e non giudicante quando parliamo con noi stessi, un dialogo che dia valore ai nostri bisogni.
Essere imperfetti fa parte della condizione umana, tutti noi abbiamo qualcosa che ci fa provare vergogna o ci fa sentire insicuri o sbagliati. I sentimenti di inadeguatezza e fallimento sono esperienze inevitabili della nostra vita.
L’emozione della compassione sorge dalla constatazione che la condizione umana è precaria, fragile, imperfetta. Tutti gli esseri umani commettono errori e hanno limiti di qualche tipo, queste concezioni sono alla base della possibile messa in pratica della self-compassion.
La self-compassion, secondo Kristin Neff, è composta da tre componenti fondamentali:
Gentilezza verso se stessi (Kindness to oneself): essere amichevoli e compassionevoli verso se stessi anziché autocritici.
Umanità condivisa (Common humanity): riconoscere che il dolore e le difficoltà sono parte integrante dell’esperienza umana, anziché sentirci isolati nei nostri problemi.
Consapevolezza di sé (Mindfulness): mantenere una consapevolezza equilibrata e oggettiva delle proprie emozioni senza sopprimerle o essere travolti da esse.
Sforzarci di raggiungere i nostri obiettivi con alti standard può essere produttivo e sano ma se il senso del proprio valore è esclusivamente connesso al proprio successo, allora il fallimento non può essere tollerato e lo sforzo di raggiungere l’obiettivo può andare oltre i nostri desideri e bisogni più profondi sacrificando altre aree della nostra vita.
I fallimenti consentono la crescita, ogni fallimento è sicuramente frustrante ma temporaneo e con il tempo si trasforma in saggezza. I nostri successi e fallimenti vanno e vengono, non ci definiscono e non determinano il nostro valore.
Neff distingue la self-compassion dall’autostima tradizionale. Mentre l’autostima si basa spesso sulla valutazione e sulla comparazione con gli altri, la self-compassion è incentrata sulla gentilezza verso se stessi nei momenti di difficoltà.
L’idea di essere in controllo del mondo che ci circonda è un’illusione, se abbiamo questa credenza incoraggiamo l’auto-giudizio e la tendenza a colpevolizzarci.
La sofferenza emotiva è spesso causata dal fatto che desideriamo che le cose siano diverse da quello che sono e meno accettiamo la realtà dei fatti, più soffriamo.
Praticando la self-compassion probabilmente proveremo meno emozioni negative e anche se esse si presentassero comunque le vivremmo con minor disagio, non si tratta di respingere le emozioni ma di evitare che inneschino comportamenti che le amplificano come autocritica e svalutazione di sé.
Per provare a mettere in pratica l’auto-compassione possiamo provare a ripeterci queste frasi:
• Questo è un momento di sofferenza
• La sofferenza è parte della vita
• Possa io essere gentile con me stesso/a
• Possa io dare a me stesso/a la compassione di cui ho bisogno.
I sentimenti positivi che derivano dalla self-compassion non sono connessi al successo nel raggiungimento di un obiettivo ma dal semplice prenderci cura con amore e gentilezza di noi stessi come faremmo con un caro amico, non si tratta di trovare soluzioni. Praticando lauto-compassione invece di confrontarci con gli altri ci sentiamo connessi a loro da un destino comune.
La self-compassion comporta il perdonarsi che non significa autogiustificarsi ma essere comprensivi e accettanti verso noi stessi. Quando ci diamo compassione diventiamo emotivamente ricettivi, siamo aperti e non giudicanti verso ogni nostra manifestazione interna. La self-compassion non elimina le emozioni negative ma le abbraccia con cura e gentilezza, praticarla ci fa sentire che i problemi possono essere affrontati e sono transitori, attraverso la compassione impariamo ad apprezzare noi stessi e i nostri aspetti positivi che in genere tendiamo a non notare.
La Neff ci sollecita a smettere di giudicarci ed etichettarci come buoni o cattivi, bravi o fallimentari, di successo o inadeguati e a imparare a praticare la self-compassion quando la sofferenza si affaccia alla nostra vita sentendoci parte di un’umanità che sperimenta le stesse esperienze dolorose.
Numerose ricerche supportano l’idea che la pratica della self-compassion sia associata a un miglior benessere emotivo, a una maggiore resilienza e a una prospettiva più equilibrata nei confronti delle sfide della vita.
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DR. Marina Ugolini
Bibliografia
La self-compassion – Kristin Neff